Un avvocato s’interroga
Contesto della fonte
Le persone internate a Bellechasse erano liberate in seguito a domande di liberazione condizionale. Esaminate dalla direzione della prigione e dalle autorità che avevano deciso l’internamento, tali domande – che variavano quanto a forma e contenuto – seguivano un filo d’argomentazione assai omogeneo. Quelle redatte da internati friburghesi all’indirizzo direttore di Bellechasse negli anni Venti e negli anni Settanta del secolo scorso permettono di individuare le strategie argomentative, come pure le norme che reggevano la concessione del rilascio condizionale. Negli anni Venti la sottomissione al lavoro e il rispetto delle regole dell’istituto durante l’internamento favorivano l’ottenimento della libertà condizionale, mentre negli anni Settanta il criterio di valutazione principale era la prospettiva di trovare un impiego o la stabilità familiare all’uscita dall’istituto (cfr. vol. 8 della CPI). Spettava sempre al direttore di Bellechasse esaminare le domande e il suo parere preliminare era determinante per la decisione. Mentre la maggioranza delle persone internate si avvaleva delle suddette argomentazioni seguendo l’iter ufficiale per ottenere la libertà condizionale, altri sceglievano vie alternative. Alle donne, ad esempio, una promessa di matrimonio poteva permettere di ottenere l’autorizzazione a lasciare l’istituto (cfr. vol. 4 della CPI).
Analisi della fonte
Questo tipo di fonte, ritrovato nei dossier di Bellechasse e che espone il punto di vista sull’internamento amministrativo di un testimone dell’epoca non direttamente interessato dall’internamento (non essendo né internato né coinvolto nella decisione o nell’applicazione di quest’ultima), permette di individuare le conoscenze e le opinioni dei cittadini in merito alla prassi dell’internamento. La fonte consente di accedere a informazioni importanti per comprendere il grado di adesione dei testimoni dell’epoca a tale prassi e alla sua applicazione.
Nel caso specifico, la lettera di un avvocato esercitante nel Cantone di Vaud, che dichiara il suo stupore sul fatto che una donna sia imprigionata senza aver commesso un reato, suggerisce che questa prassi non era necessariamente nota ai giuristi e poteva essere fonte d’incomprensione o anche d’indignazione.
Domande della ricerca
Questa lettera, ritrovata nel dossier di una donna internata a Bellechasse, è stata probabilmente trasmessa alla direzione di Bellechasse dal Dipertimento di giustizia e polizia del Cantone di Friburgo. La presentazione simultanea di una domanda di matrimonio e di una domanda di rilascio, suggerisce che, per le donne, il matrimonio poteva costituire un’alternativa all’internamento. Il confronto con lo stesso tipo di domanda presente in altri atti permetterebbe di capire se questa prassi era diffusa, in quale epoca e per quale tipo di persona internata.
Inoltre, analizzando il dossier integrale della donna in questione, la lettera rende conto anche dei vari attori implicati nel trattamento delle domande di rilascio e dei motivi che inducevano questi ultimi a autorizzare o meno l’uscita dall’istituto.
L. Odier/Traduzione
Fonte
Lettera scritta da un avvocato che trasmette al Dipartimento di giustizia e polizia del Cantone di Friburgo la domanda di uno dei suoi clienti di sposare una donna internata a Bellechasse, 1938.
Segnatura: Archives d'État de Fribourg (AEF/StAF): Fonds Bellechasse, dossier A 2870.
Osservazioni
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